Andare allo stadio? Caro, scomodo e complicato. Biglietti nominali, perquisizioni: meglio la tv
L’ultimo stadio è un luogo triste e inaccessibile da cui è meglio tenersi distanti, se già non provvedono a obbligarti le autorità . Loro hanno mille giustificati motivi per farlo. E forse, in una fase storica di transizione, questo è il necessario prezzo da pagare perché gli stadi di calcio diventino finalmente zone sicure e per tutti. Ma la sensazione – e la frustrazione – di molti tifosi «normali», non ultrà , oppure ultrà che non hanno mai fatto male a una mosca e avrebbero solo il bizzarro vizio di andare allo stadio tra amici con bandiere, striscioni e canti, è che ci si stia spostando da un estremo all’altro. Dal «liberi tutti» di prima agli attuali ostacoli che, partendo da un tornello, arrivano al caso limite delle gare a porte chiuse. Nato l’anno scorso in piena emergenza per il caso Raciti, il provvedimento è già stato riproposto quest’anno in serie A per Napoli-Genoa. Delle due l’una: o l’emergenza non è finita oppure la tendenza è a perseguire la via più comoda. Come se per fronteggiare i pirati della strada si decidesse di chiudere la circolazione a tutti. Aggiungiamo tutto ciò alle note fatiscenze dei nostri stadi, alla sproporzione tra i prezzi dei biglietti e la qualità degli impianti, e alla grande varietà dell’offerta tv, e la domanda diventa ovvia: ha ancora senso andare allo stadio? Dopo gli interventi restrittivi di Roma-Napoli e Fiorentina-Juce (e nel nostro girone di Potenza – Taranto), basta un rapido elenco dei piccoli grandi problemi di una giornata allo stadio per capire che la risposta, per il tifoso che alla partita vorrebbe andare solo per divertirsi e tifare, è una sola: no, non ha senso.
LUNGAGGINI – Comprare il biglietto (prezzi a parte) è diventata una prassi complessa, entrare allo stadio pure, fra code, tornelli, perquisizioni. Decidere di andare alla partita è come pianificare un viaggio, ma senza il piacere del viaggio. Vale ancora la pena?
SCOMODITA’ – Gli stadi italiani sono notoriamente fra i peggiori d’Europa. Il problema è antico, la soluzione è lontana, soprattutto se la costruzione di impianti adeguati dipende solo dall’organizzazione di una grande manifestazione (come fu, mal sfruttata, Italia ’90, e come si sperava potessero essere gli Europei del 2012).
TRISTEZZA – Fare scenografie è diventato quasi impossibile. Così i colori scompaiono dal tifo e impera il grigiore. In compenso, fumogeni o striscioni razzisti non mancano mai. Senza contare – è noto anche alle autorità – che proprio la libertà di scenografia (non di insulto, si capisce) può diventare un deterrente ad altri sfoghi.
NIENTE TRASFERTE – Il divieto, facendo di ogni erba un fascio, toglie il piacere del viaggio a molti tifosi pacifici. Si impedisce alle tifoserie di partire in trasferta seguendo cervellotici criteri e argomentazioni tra il serio ed il faceto.
ALTRI RISCHI – Da ciò poi discendono nuovi rischi. O il tifoso rinuncia del tutto a muoversi, oppure si attrezza per andare comunque allo stadio in mezzo ai tifosi avversari. È successo a Milano per Inter-Napoli: con il settore ospiti chiuso, oltre un migliaio di tifosi partenopei, comprato il biglietto in Lombardia, si sono sistemati a stretto contatto con i tifosi nerazzurri, con un potenziale rischio per entrambi. Tutto per fortuna è andato bene, ma questo è un caso in cui il rimedio poteva diventare peggiore del male. Che cosa accadrebbe infatti se, a causa della chiusura dei settori ospiti, sistemati in tinello i tifosi normali, gli ultrà si sguinzagliassero liberi per le tribune? La domanda non è oziosa. E la risposta – in attesa di un mondo fantascientifico in cui tutti i tifosi si mischieranno in pace e amore come a Woodstock – non può essere solo il divieto generalizzato. Neanche se questo è più facile dell’isolamento del singolo colpevole. L’unico che deve davvero stare fuori dallo stadio.
ONORE A GABRIELE »
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